Concerto del C.I.M.A.

19 febbraio 1998 - S. Prisca all’Aventino

Programma:

Benedetto Marcello (1686-1739):

da "ESTRO POETICO ARMONICO"

Salmo I "Beato l’uom che dietro a’ rei consigli

Salmo III "O Dio, perché cotanto è mai cresciuto"

Salmo VIII "Oh di che lode, di che stupore"

Salmo XV "Signor, dall’empia gente"

Salmo XXVIII "O prole nobile"

Benedetto Marcello è uno dei massimi compositori della scuola veneziana della prima metà del Settecento. E’ fratello di Alessandro, l’autore del concerto per oboe di cui fa parte il famoso adagio utilizzato nel film Anonimo veneziano. Tuttavia alcuni attribuiscono quella composizione proprio a Benedetto.

Il nostro autore faceva parte di quella schiera "di nobili veneziani che, pur non praticando la musica come professione, vi si applicarono con intensità e genialità. Scrisse tra l’altro Il Teatro alla Moda, "una feroce satira del mondo melodrammatico contemporaneo … che gettò il discredito su tutta la produzione teatrale italiana del sec. XVIII".

L’opera più importante del nostro autore è proprio l’Estro poetico armonico, cioè la raccolta di 50 Salmi. Oggi ne eseguiamo cinque. Il titolo della raccolta è un polemico riferimento all’opera strumentale dell’altro grande musicista veneziano dell’epoca, di poco più vecchio di lui, cioè Vivaldi, autore dell’Estro armonico pubblicato 12 anni prima, nel 1712.

L’Estro poetico armonico di Benedetto Marcello è un’opera musicale di carattere piuttosto particolare. Lino Bianchi lo definisce "un unicum assoluto, nella storia della musica, per la peculiarità dei suoi valori creativi intrinseci, fedele espressione delle premesse culturali e spirituali che ne sono all’origine": le composizioni che contiene non sono oratori, né cantate, né composizioni liturgiche. Si tratta di parafrasi abbastanza libere, che spesso si discostano dal testo biblico dei Salmi. Sono state scritte da un altro patrizio veneziano amico di Marcello, Giustiniani, e in italiano e non in latino, quindi con una certa intenzione di avvicinarli alla gente comune.

Alcuni ecclesiastici e cardinali romani commissionarono a Benedetto Marcello questo lavoro e l’iniziativa culminò "in un ciclo di trattenimenti dall’8 luglio al 23 settembre, dal cardinale Pietro Ottoboni, nel Palazzo della Cancelleria, nello stesso anno – il 1739 - e negli stessi giorni in cui l’autore a Brescia si sarebbe spento"

L’iniziativa culturale e religiosa dei cardinali romani aveva uno scopo di edificazione religiosa del popolo, e infatti nella prefazione all’edizione originale si parla di "significare gl’impeti spaventevoli della divina giustizia" e "la devota pietà del cuore che parla con Dio."

Lo stile di queste composizioni è piuttosto lontano da quello della contemporanea musica sacra tedesca, ma anche italiana, e invece presenta andamenti melodici tipici di un’epoca successiva, della fine del Settecento, se non addirittura dell’Ottocento. I singoli salmi assumono una veste musicale molto variegata, con differenti organici: le voci possono essere una o due, o tre o quattro. L’accompagnamento strumentale è piuttosto ridotto: organo o clavicembalo, violoncelli o 2 violini. Ognuna delle composizioni si suddivide in sezioni molto brevi, con continui cambiamenti di stile, di tempo, di carattere.

Benedetto Marcello

Salmo primo "Beato l’uom che dietro a’ rei consigli"

(parafrasi del Salmo 1 "Le due vie")

(per contralto e basso solisti e coro di contralti e bassi)

Versetto I (coro)

Il testo

Beato l’uom, che dietro a’ rei consigli

De’ scellerati non andò giammai,

E che non fermò ‘l piede

Su quelle torte vie, dove fan gli empj

Della lor vita il corso;

E molto meno in cattedra s’assise

Di pestilenza ad infettare altrui

Con corrotte dottrine e pravi esempj.

La musica

Il brano è un fugato a due voci (contralti e bassi), dalla melodia sciolta e scorrevole. Abbiamo qualche elemento descrittivo: quando si parla delle vie torte degli empi l’andamento si fa cromatico e realmente ‘tortuoso’. Intervalli strani si hanno anche sulle parole ‘corrotte dottrine’, quasi ad esprimere una sorta di ripugnanza per le eresie a cui si allude.

Versetto II (contralto solo e coro)

Il testo

Ma la divina legge

Fatta del suo volere il solo oggetto,

In essa e giorno, e notte

Immerge la sua mente e immerge il core

La musica

La parte iniziale è un solo del contralto su una melodia dal ritmo puntato. Segue un canone del coro sulle parole ‘immerge’ e infatti i contralti si immergono in note abissalmente basse per loro. Conclude il brano un elegante vocalizzo di ambedue le voci.

Versetto III (contralto solo)

Il testo.

Egli sarà qual arbore

Presso piantato a un rivolo

D’acque correnti e limpide,

Ch’avrà ne’ tempi debiti

Tutto di frutta carico

Il folto e verde crin;

La musica

L’inizio del contralto solo è ‘lento’, come si conviene all’albero ben piantato di cui parla il testo. Un po’ più di movimento si ha subito dopo, quando si parla di acque ‘correnti e limpide’.

 

 

 

Versetto IV (coro)

Il testo

Frondi mai non vedrannosi

Da pianta così nobile

O scolorite od aride

Al suol morte cader;

Ma tutto ciò, che faccia,

Un dì fia che conducasi

A lieto e dolce fin.

La musica

Di nuovo abbiamo, all’inizio, un canone eseguito dal coro. Cominciano i bassi, seguiti dopo tre battute dai contralti, mentre il basso continuo segna il tempo con una specie di ‘ostinato’ discendente. Sulle parole "Ma tutto ciò …" ecco un duetto dei due solisti che cominciano omofonicamente, eseguendo la stessa melodia su diverse note, mentre poi le loro parti si sfalsano, dialogando. Sulle parole "un dì fia …" riappare il coro, con un nuovo canone spigliato e gioioso, quale si conviene al contenuto ottimistico del testo.

Versetto V (basso solo)

Il testo

Non già così degli empii;

Saran bensì qual polvere,

Che dalla terra balzano

I venti, e la disperdono.

La musica

Alla gioia appena manifestata si contrappone la cattiva novella per gli empi, annunciata dal contralto solo con una breve frase in stile di recitativo. Segue la descrizione della loro cattiva sorte con una melodia piena di scomodi salti ascendenti e discendenti, sempre cantata dalla solista. E sulla parola finale ‘disperdono’ anche le note si disperdono in un lungo vocalizzo inframmezzato da pause che rappresentano questa frammentazione e dispersione della polvere in cui gli empi sono ridotti.

Versetto VI (coro)

Il testo

Pertanto nel terribile

Universal giudicio

Non sorgeran per vivere,

Né più frammischierannosi,

Come quaggiù facevano,

Con alme giuste i reprobi.

La musica

Torna il coro con un altro canone, la cui melodia si caratterizza per il salto di terza maggiore discendente sulla parola "terribile", per esprimere così la connotazione negativa della parola. Sulle parole "né più frammischierannosi" la distanza tra le due voci si riduce in una specie di ‘stretto’, in modo che effettivamente contralti e bassi ‘frammischiansi", come per descrivere la parola e non la sua negazione.

Versetto VII (contralto solo; coro)

Il testo

Sono esposte e son care al Signor nostro

Le vie per cui camminan gl’innocenti;

Ma le strade degl’empj

Periscono, dileguansi.

 

 

La musica

Il primo versetto viene cantato dal contralto solista: è quasi un brevissimo recitativo per introdurre la

fuga del coro: alla frase in note lunghe introdotta dai contralti risponde subito il ‘controsoggetto’ dei bassi su una scala discendente che allude in maniera molto chiara al perire e al dileguarsi degli empi. Questi due elementi si ripresentano più volte in modi variati e con molta efficacia..

 

 

Benedetto Marcello

Salmo III "O Dio, perché cotanto è mai cresciuto"

(parafrasi del Salmo 3, di Davide "La fiducia in Dio")

(per soprano e contralto solisti e coro di soprani e contralti)

 

Versetto I (soprano e contralto solisti)

Il testo

O Dio, perché cotanto è mai cresciuto

Lo stuol di quei, che in mille pene amare

Mi fan passar così infelici i giorni?

Ond’è, Signor, ch’ogni momento io scorgo

Sorger contro di me nuovi nemici?

La musica

Il brano iniziale di questo salmo è una fuga a due voci. I soprani propongono una melodia spigliata e scorrevole e i contralti la riprendono partendo da una nota più bassa di un intervallo di quarta.

Versetto II (coro)

Il testo

Quanti ‘l cor mi trafiggono

Allor che dir li sento:

Nò che non v’è più per costui salvezza,

Che al suo Signor nulla più cal di lui.

La musica

Anche la prima parte di questo brano è una fuga. Il tempo ("presto") e il ritmo di 3/8 aiutano a dare alla melodia un andamento energico, cui contribuisce anche l’inizio perentorio, con quelle due note ascendenti del valore dell’intera battuta. Sulle parole "allor che dir li sento" il tempo cambia e diventa ‘largo’, le due voci si succedono a distanza ravvicinata, come avviene nello ‘stretto’. Le note sono puntate, come in un ‘pizzicato’, e si alternano al controsoggetto, che viene cantato in modo più legato, e che rimbalza dall’una all’altra voce.

 

 

 

 

 

Versetto III (soprano e contralto solisti)

Il testo.

Dicanlo pur, che resteran delusi:

Tu mio asilo sarai, tu la mia gloria,

Né mai per greve duol, che il cor mi prema,

Cader mi lascerai col capo in seno,

E tener fisi i mesti lumi al suolo.

La musica

Dopo un inizio in stile di ‘recitativo’, sulle parole "per grave duol", in tempo lento (l’indicazione è ‘largo’) i contralti iniziano un fugato su una melodia ascendente cromatica, cui si associano subito dopo i soprani. Poi, per rendere l’idea della ‘fissità’ degli sguardi di cui si sta parlando, sulle parole "e tener fisi i mesti lumi’ i soprani ribattono per otto volte la stessa nota. Fanno lo stesso, subito dopo, anche i contralti, ma su una nota più alta di un tono, in modo da creare un urto dissonante alludendo così al carattere disdicevole di questo atteggiamento (infatti il testo dice "né mai … mi lascerai … tener fisi i mesti lumi al suolo").

Versetto IV (soprano solo)

Il testo

Già di mie preci ‘l grido

Al mio Signore alzai,

Ed ei dal sacro Monte, in cui dimora,

Mi porse orecchio, e m’esaudì clemente,

La musica

L’elevarsi verso il cielo del "grido di mie preci" viene rappresentato, in questo ‘adagio’, dal movimento ascendente delle diverse frasi, già anticipate dal preludio strumentale.

Versetto V (soprano e contralto solisti)

Il testo

Quando’ho ‘l mio Signor per mia difesa al fianco,

D’ogni grave pensier sgombra la mente,

E, steso sopra molli agiate piume,

Mi lascio in preda ad un tranquillo sonno,

Poi mi risveglio, ed indi sorgo in pace.

La musica

Il contralto solista inizia il brano in stile di recitativo, su un discreto accompagnamento di lunghi accordi del basso continuo. Sulle parole "mi lascio in preda ad un tranquillo sonno" il tempo diventa ‘lento’ proprio perché il sonno è "tranquillo". A questo punto torna in scena il sopranista che dialoga col contralto in una specie di brevissimo fugato. Si passa poi all’’allegro’ per far capire che il protagonista si è svegliato, tutto scattante, e ‘sorge’, ovviamente su note ascendenti, che però, subito dopo, poi si acquietano nella "pace".

Versetto VI (coro e soprano solo)

Il testo

E vengan pur, a mille a mille vengano

I miei ribelli, e da ogni lato stringanmi;

Non fia mai pel timor, che il cor mi palpiti.

Sorgi, o Signor, e tu da gl’empj salvami.

La musica

Il coro canta la prima frase in stile ‘concitato’, per rappresentare teatralmente lo scontro tra Davide e i suoi nemici, che si sono ribellati al re, al seguito di suo figlio Assalonne. Per evidenziare il conflitto tra le opposte schiere, dopo l’iniziale frase discendente dei soprani, i contralti rispondono con una frase equivalente in direzione ascendente. Poi le due melodie si mescolano molto da vicino (infatti il testo dice "e da ogni lato stringanmi") per passare subito dopo dal ‘presto’ all’’adagio’. Dopo la concitazione si afferma l’intenzione di restare imperturbabili ("non sia mai pe ‘l timor che il cor mi palpiti", dice il testo cantato con procedimento di ‘imitazione’ dalle due voci corali).

Versetto VII (soprano e contralto solisti; coro)

Il testo

Tu flagellasti sempre

Tutti color, che non ragion, ma insano

Furor mosse ad odiarmi;

Tu stritolasti i denti

De’ peccator con cui volean ferirmi.

La musica

I primi tre versi del testo vengono cantati dai due solisti su una melodia trattata con la tecnica del-

l’imtazione. Poi, sul testo "Tu stritolasti …", abbiamo una fuga interessante e piena di cromatismi.

Versetto VIII (soprano e contralto solisti; coro)

Il testo

La salvezza comun da te dipende,

Ed il popolo eletto

Ora e sempre a te sia caro e diletto.

La musica

La prima frase è un microscopico fugato (di sole quattro battute) che funge da introduzione ad un

nuovo brano polifonico in stile imitativo sulle parole "Ed il popolo eletto …". La melodia viene proposta dai due solisti, cui rispondo subite dopo il coro. Solisti e coro si alternano e si intrecciano in continuazione. Solo

nel finale del salmo i due solisti cantano tre battute in omofonia prima di un nuovo e conclusivo brevissimo intervento del coro.

 

 

Benedetto Marcello

Salmo VIII "Oh di che lode, di che stupore"

(parafrasi del Salmo 8, di Davide: "Grandezza di Dio e dignità dell’uomo")

(per contralto solista e coro di contralti)

Versetto I e versetto II (contralto solo; coro di contralti)

Il testo

Oh di che lode

Di che stupore

Oggetto è mai

Per l’Universo

Il tuo gran nome,

O sapientissimo

Nostro Signor!

Quanto s’innalza

Sopra de’ cieli

Sopra il creato

La tua grandezza

Lo tuo splendor!

La musica

Dopo 14 battute di introduzione strumentale, nell’agile ritmo di 3/8 e su un tempo "allegro", il contralto solista ci presenta una simpatica melodia danzante, variante di quella già eseguita dal basso continuo. Dopo l'esposizione di questo tema, il coro, come a rafforzare quanto detto dalla solista, sulle parole "o sapientissimo nostro signor", ripete tale e quale la conclusione della melodia, che funge da ritornello di tutto questo brano. Il materiale così presentato viene sviluppato e variato sia nelle parti solistiche che in quelle corali. Dopo la seconda apparizione del ritornello, abbiamo una scala discendente della solista su note dai valori lunghi, seguita dalla terza e dalla quarta ripetizione del ritornello, modificato e arricchito.

Sul testo del II versetto tutto questo procedimento continua a svilupparsi con la stessa logica e con la stessa struttura, ma senza cadere nella monotonia, bensì con continue piccole varianti e cambiamenti di tonalità. Infine abbiamo il ‘da capo’ con la ripetizione della prima parte del brano.

Versetto III (contralto solo)

Il testo.

Su le labbra innocenti

De’ teneri bambini,

Che dal materno sen succhiano il latte,

Formi lode si eccelsa al tuo gran nome,

Che ogni incredulo core a te nemico,

Ed ogni alma che spira odio e vendetta,

E confonde, e distrugge.

La musica

Sembrerebbe un recitativo, per la linea mossa e libera della frase musicale della solista, accompagnata da pochi accordi del basso continuo. Tuttavia una insistente ricerca della simmetria attraverso

la tecnica della progressione rendono questo brano non del tutto corrispondente alla fisionomia abituale di questo genere di composizione.

Versetto IV (contralto solo)

Il testo

Quando alzo gl’occhi, e ‘l chiaro ciel rimiro

Di tua destra possente opra sublime,

Ed ivi scorgo l’argentata luna

Splender sole notturno e brillar gl’astri;

Attonito e confuso

Fra sì gran maraviglie allora io dico:

La musica

Dopo il quasi-recitativo ecco una quasi-aria, in tempo ‘adagio’, su un cullante ritmo ‘alla siciliana’, quale si conviene ad un testo di contenuto piuttosto contemplativo, che parla di cielo, luna e astri. La conclusione invece torna allo stile del recitativo, soprattutto perché è l’inquadramento del discorso diretto che viene dopo (" e allora io dico:").

Versetto V (contralto solo)

Il testo

Che cosa è l’uomo

D’Adamo figlio,

Qual merto ha mai

Per cui lo degni

Di tua memoria,

De’ tuoi favori?

La musica

Di nuovo un ritmo di 3/8, come nel brano iniziale, ma stavolta con un "adagio". Il testo è di contenuto riflessivo, e questa particolarità viene resa musicalmente anche dalle frequenti ripetizioni indugianti su piccole cellule melodiche.

Versetto VI (contralto solo)

Il testo (recitativo)

Quasi egual lo facesti

A gli spirti celesti,

Tu di gloria e d’onor lo coronasti,

E sopra l’opre tutte

Di tua possente mano

Lo rendesti signore

Versetto VII (contralto solo; coro di contralti)

Il testo

Al tuo piede assoggettasti

Della terra armenti e gregge;

Le pecorelle

Ne’ verdi campi

Il dolce latte,

Le lane molli

Gli somministrano,

E da’ suoi cenni

Prendono legge.

La musica

L’inizio del brano è molto bello. Il tema cantato dal coro sui primi due versi del testo ("Al tuo piede

assogettasti della terra armenti e gregge"), con quei grandi salti di sesta e di settima a zig zag, è incisivo e molto efficace. Segue poi un’aria del contralto solista su una melodia molto semplice e rassicurante, quale si conviene a un testo che parla di pecorelle, verdi campi e dolce latte. Lo stesso modulo ritmico si ripete varie volte su un disegno melodico molto elementare che presenta diverse varianti. Nella seconda parte sia il ritmo che la melodia cambiano un po’, ma anche questo nuovo tema si ripete con varianti.

Versetto VIII (contralto solo)

Il testo (recitativo)

E gli augelli canori, e i muti pesci

Che per l’aria e nel mar volano, e guizzano,

Servono al suo dominio.

 

 

 

 

 

 

Versetto IX (contralto solo; coro di contralti)

Il testo

Oh di che lode

Di che stupore

Oggetto è mai

Per l’universo

Il tuo gran nome,

O Sapientissimo

Nostro Signor!

La musica

Il brano è la ripetizione identica della prima parte del versetto I..

 

 

 

Benedetto Marcello

Salmo XV "Signor, dall’empia gente"

(parafrasi del Salmo 16, Inno di Davide: "Il sommo bene ")

(per contralto solo)

 

Versetto I e versetto II

Il testo

Signor, dall’empia gente che m’assal d’ogni intorno

Deh, pietoso, mi salva,

Poiché in te solo ogni mia speme è posta

Ho sempre detto: il mio Signor tu sei,

perché il retto oprar mio

di tua clemenza è dono

e pur d’uopo non hai, non hai profitto

delle rette opre mie.

La musica

Su un tempo ‘lento’ i due violoncelli tessono una pregevole melodia sulla quale viene poi ad inserirsi con lunghe note il contralto solista. Il brano è molto dolce e di piacevole ascolto.

Versetto III e versetto IV

Il testo

Per quelli poi, che meco uniti denno

Nella terra promessa a te esser sacri,

mirabile rendesti in loro e illustre

il tuo valore e ‘l mio.

Crebbero in lor le infermitadi amare,

onde questa mortal misera vita

è da ogni parte cinta,

e lo spron queste furo onde veloce

per accostarsi a te mossero il passo.

Ed io non gli ho adunati,

perché il sangue delle vittime

bagni l’are profane de’ stranieri Dei.

Péra ogni lor memoria,

e si tolga dal mondo il nome ancor

dell’empio culto immondo.

La musica

Sui primi otto verso del testo abbiamo un recitativo che segue abbastanza fedelmente il ritmo del parlato. Poi su un tempo definito "risoluto" ecco un’aria che inizia perentoriamente con due note lunghe ascendenti e prosegue con ampio ricorso a grandi salti che accentano l’impressione di ‘combattività’ che la musica vuole dare per rendere il significato del testo. L’insieme del brano è molto piacevole.

Versetto V

Il testo.

Tu , mio Signor, tu solo,

sei la mia ereditate,

la mia allegrezza è in te, Signor,

tu che mi stabilisci nel possesso del regno

che promettesti a me.

La musica

L’atteggiamento fiducioso verso la divinità viene resa qui - come in altri casi di questa raccolta di Salmi - dalla forma musicale della "Siciliana".

Versetto VI

Il testo (recitativo)

Nulla v’è di più illustre e di più grande

Di quella parte a me toccata in sorte

E della eredità che a me tu doni.

Versetto VII

Il testo

Benedetto tu, o Signor,

che dell’alta tua sapienza

col divino almo splendore

la mia mente illuminasti;

e nell’atra oscura notte

del corrotto mondo insano

fra la turba degli affetti

onde l’alto tuo volere

decretò ch’io fossi cinto,

il mio cor tu regolasti.

La musica

Questa è aria è fortemente caratterizzata da un ritmo puntato dall’inizio alla fine, il che le conferisce uno stile che allora veniva chiamato "alla francese", tipico delle ‘ouvertures’ di Haendel, per esempio. L’accompagnamento asseconda questa caratteristica del canto, appoggiandolo o alternandosi ad esso con frasi di analogo stile.

Versetto VIII

Il testo (recitativo)

Così fra rei perigli e pene amare,

come a solo mio lume fissi in te gli occhi miei tenn’io mai sempre

e tu fosti sostegno alla mia destra.

Versetto IX

Il testo

Perciò riempiesi

il cor di giubilo

e in lieti cantici

il labbro sciogliesi

e ‘l corpo fragile

ora riposasi

nella certissima

speranza ch’abbia

tosto a risorgere.

La musica

L’aria è costituita da una melodia ampia e articolata. Il basso continuo anticipa il tema cantato dalla

solista e poi dialoga con essa. Il compositore cerca di adeguare la forma musicale ai significati delle parole pronunciate. Per esempio, le semicrome e biscrome ascendenti alludono al ‘giubilo’ di cui si parla; la nota lunga si appoggia sulla parola "riposa"; la parola "speranza" viene pronunciata su una quartina ascendente di semicrome.

Versetto X

Il testo (recitativo)

Nò, tu non lascierai

che ‘l Santo tuo diletto

giammai la prigionia

dell’alma veda

né del corpo corrotto

le fracide reliquie avermi in preda.

A questo punto, nello spartito originale (riportato nell’edizione curata da Denis Stevens e Nona Pyron) abbiamo una pagina in cui viene riportata (in notazione musicale ebraica e, sotto, in notazione musicale occidentale, l’"Intonazione degli Ebrei Tedeschi sopra ‘Ma’oz Zur Yeshuati". Si tratta di un canto per la festa di Hanukà, la festa della luce che si celebra in un giorno vicino al solstizio d’inverno e che ricorda un episodio della lotta dei fratelli Maccabei contro il dominio romano. Non sappiamo bene quale sia il motivo di questa dotta citazione. Forse Marcello aveva avuto modo di conoscere questa musica e aveva pensato di servirsene. Infatti il brano successivo si svolge proprio su questa melodia, con qualche piccolissimo cambiamento nella linea melodica (in qualche punto abbiamo qualche intervallo di un semitono invece di un tono o viceversa). Ma con l’armonizzazione il canto monodico ebraico viene ‘tradotto’ in musica del Settecento e quindi subisce un cambiamento radicale, anche se l’’atmosfera’ musicale dell’originale in parte si conserva.

Versetto XI

Il testo

Della vita il retto calle

tua clemenza insegnò a me;

onde sia che sempre esulti

il mio cor d’alta allegrezza

nel vedermi innanzi a te.

E alla tua destra, in sì felice stato,

con eterno piacer sarò beato.

La musica

L’introduzione strumentale espone l’intonazione ebraica modificata di cui parlavamo sopra, con l’aggiunta, nella prima parte di ogni frase, di una linea del basso diversa. Ma nel finale di ognuna delle due frasi musicali, i due violoncelli suonano all’unisono.. Poi quella stessa melodia viene cantata dal contralto solista, mentre i due violoncelli eseguono l’accompagnamento già prima suonato, all’unisono. Quest’ultima caratteristica mantiene al brano un carattere abbastanza diverso dalle altre parti del salmo, salvaguardando in qualche modo la struttura monodica dell’originale.

 

 

Benedetto Marcello

Salmo XXVIII "O prole nobile"

(parafrasi del Salmo 29, di Davide: "La potenza di Dio")

(per terzetto di solisti – contralto, tenore e basso – e coro di contralti, tenori e bassi)

Versetto I (coro)

Il testo

O prole nobile di magni principi

Al tempio vadano e si presentino

Agnelli teneri al potentissimo nostro Signore.

La musica

Le tre voci corali (bassi, tenori e contralti) iniziano il salmo in stile omofonico: Dopo 10 battute, su valori più brevi, le tre sezioni svolgono un dialogo sulle parole "al tempio vadano …". Ritorna subito dopo lo stile omofonico, per lasciare il posto ai solisti per il secondo versetto.

Versetto II (terzetto solistico: soprano, tenore, basso)

Il testo

All’augustissimo suo nome rendasi gloria.

E nell’atrio santo e magnifico

Del tabernacolo inni si cantino all’augustissimo.

E al ciel s’innalzino voci d’onore.

La musica

I solisti riprendono, con qualche variante, la melodia mossa che abbiamo già ascoltato. Rientra poi il coro con una nuova melodia, costituita di ripetute scale discendenti intervallate da impennate a zig zag sulle parole "e al ciel s’innalzino". Il brano si conclude con alcune battute in stile omofonico.

 

 

Versetto III (coro)

Il testo

Tuona sull’acque con maestade

E con orribile nostro terrore

Di Dio la voce fa sentirsi dall’alte nuvole sopra la terra

Oscura e pavida tempesta atroce gir minacciando

La musica

Il brano ha fortissime caratteristiche descrittive. All’inizio tutte le sezioni corali cantano insieme nell’esprimere il terrore di fronte al dio che si manifesta nei fenomeni naturali. Poi le voci si separano per qualche battuta, dialogano, con un bell’effetto di concitazione drammatica, cui contribuiscono anche le semicrome del basso continuo.

Versetto IV e versetto V (coro)

Il testo

Oh! Da qual forza è accompagnata

Quale splendore, quanto spavento Ella mai spande

O come svelle quei così antichi cedri del Libano,

Cui rendono forti cent’anni e cento.

La musica

Al ‘presto’ della sezione precedente succede ora un ‘largo’ caratterizzato dal contrasto tra due elementi: da un lato una frase lenta e statica di minime, con frequente ripetizione della stessa nota o piccoli spostamenti, e dall’altro una specie di serpentina di semiminime che passa di voce in voce cambiando continuamente forma, fino ad una conclusione omofonica sulla frase composta di valori lunghi.

 

Versetto VI (terzetto solistico: soprano, tenore, basso; coro)

Il testo

Come nei prati van saltellando gli armenti teneri,

Allor che pasconsi di fiori ed erbe;

Tal questa voce forte e tremenda

Balzar fa i monti

Tanto che toccano le loro il cielo cime superbe

La musica

Il brano, in stile ‘imitativo’, inizia con un ‘adagio’, affidato ai due solisti, il tenore e il contralto. Si tratta di una ‘siciliana’ come quella del versetto 4 del salmo VIII. Questo tipo di composizione è particolarmente adatto per brani di carattere pastorale, e infatti qui si parla proprio di ‘teneri armenti’.

In netta contrapposizione con la sezione precedente, dopo la polifonia torniamo all’omofonia, dopo i solisti torniamo al coro, dopo l’Arcadia torniamo agli effetti drammatici che interrompono l’idillio pastorale precedente. I primi due versi del testo vengono declamati all’unisono dalle tre voci corali. Poi, sulle parole "tanto che toccano" ogni singola voce, intervenendo l’una dopo l’altra, a canone, esegue delle scalette ascendenti per aggiungere, appunto, il ‘cielo’ dei rispettivi registri vocali. Il testo già cantato viene poi ripetuto in stile omofonico, partendo da una nota più alta di un tono, Ma stavolta il coro canta degli accordi, e non all’unisono. Intanto i bassi introducono delle dissonanze per far sentire la drammaticità della situazione. Riprende infine, con qualche variante nel finale, il canone dell’ascesa al cielo che abbiamo già sentito.

 

 

 

 

Versetto VII (coro)

Il testo

In mille parti squarcia le fiamme de’ lampi e fulmini,

Ed altri nembi dal ciel disserra.

Indi per queste fiamme squarciate

S’apre la strada ond’ella scende

Tutta a commuovere la bassa terra.

La musica

Il dramma continua in questo ‘presto’ che comincia in modo polifonico e subito dopo ci fa sentire tutto il coro insieme sulle parole ‘de’ lampi e fulmini’. Segue subito dopo un brevissimo fugato caratterizzato da un insistito cromatismo, fino a quando tutti si ritrovano insieme sulle parole "dal ciel disserra". Ritorna la polifonia con un tema fatto di un arpeggio ascendente seguita da un arpeggio discendente sulle parole "ond’ella scende".

Versetto VIII (coro)

Il testo

Questa tremenda voce possente

Scuote di Cades gl’orribilissimi ampi deserti

La musica

Di nuovo gli effetti drammatici vengono ottenuti tramite uno scandire omofonico delle parole del testo su note ripetute o che si alzano o abbassano di poco, mentre il movimento e i salti li abbiamo nell’accompagnamento strumentale. La polifonia in questo brano è completamente assente, se si esclude un piccolissimo vocalizzo dei contralti nel finale.

Versetto IX (coro)

Il testo

E le cervette per lo timore

Fa che producano parti immaturi,

E cangia i boschi in campi aperti!

Or mentre ch’odesi

Tal voce tremano

I monti altissimi

E le de’ fulmini fiamme si squarciano,

E i boschi n’ardono e ‘l mondo s’empie

Tutto d’orrore

La musica

Ma ci siamo dimenticati dei poveri animali che forse sono atterriti da tutto questo dramma meteorologico, tanto da produrre ‘parti immaturi’.. E infatti i solisti rivolgono un pensiero a loro, con discrezione, cantando piano, anch’essi nello stile rigorosamente omofonico che abbiamo sentito un momento fa. Il coro raccoglie l’invito dei solisti e completa il brano nello stesso stile.

Subito dopo comincia una nuova sezione che però mantiene lo stesso stile. In tempo lento (è un ‘largo’) il coro torna ad usare l’omofonia (come nel penultimo brano) per produrre effetti drammatici, aiutandosi in questo con un intenso ricorso alle dissonanze e un rapido movimento di semicrome nel basso continuo. Dopo una lunghissima nota di 7/4 del coro sulla parole "orrore", sottolineata dal movimento dell’accompagnamento strumentale, il clima cambia improvvisamente

 

 

 

 

 

Versetto X (coro)

Il testo

Sen corra al tempio divoto il popolo

Per riconoscere qual nell’Altissimo

Possanza scoprasi

E implori supplice il suo benefico almo favore!

 

La musica

Infatti, dopo l’intonazione drammatica precedente, ecco che tenori e contralti introducono una melodia gioiosa e danzante sulle parole "sen corra al tempio …", cui si uniscono subito anche i bassi. Il cielo si è rasserenato e ci si avvia alla conclusione di tutto il salmo.

Versetto XI (coro; terzetto solistico: soprano, tenore, basso)

Il testo

Dunque si speri!

Dopo l’orribile nembo funesto

Scender vedrannosi acque feconde!

E fia che sieda sopra il suo trono il grande Iddio eternamente

Qual augustissimo re che governi

La terra e l’onde eternamente!

Ei renderà la gente sua possente,

Colmeralla di pace

E la farà con immutabil tempre

Mai non turbarsi e viver lieta sempre!

La musica

E infatti, dopo una declamazione di otto battute (il tempo è ‘adagio’, lo stile è ancora omofonico), di notevole efficacia retorica, si passa all’’allegro’ per sancire solennemente il cambiamento della situazione. Il contralto ci presenta una melodia piacevole e spigliata, simile a quella che aveva caratterizzato il versetto precedente, di cui in un certo senso costituisce uno sviluppo. Viene dato anche abbastanza spazio al virtuosismo: sulla parola ‘feconde’ la solista può così mostrare quanto è brava a fare trilli e vocalizzi.

Sul testo della seconda parte del versetto abbiamo ora un breve fugato del coro. Ecco poi la parola "eternamente" cantata per un’eternità (7 battute) dai tenori, mentre bassi e contralti tornano all’omofonia.

L’ intreccio tra questi due elementi si ripropone subito dopo, con la parola ‘eternamente’ che passa prima ai contralti e poi ai bassi. Segue quindi un piccolo duetto tra i due solisti che inizia all’unisono e poi si sviluppa brevemente con il procedimento dell’imitazione.

E per finire, ecco una fuga vera e propria. Il ‘soggetto’ (sulle parole ‘mai non turbarsi’) è basato su valori lunghi, ha un andamento discendente, per gradi congiunti, e contiene anche un po’ di cromatismo. Il controsoggetto invece (sulle parole "e viver lieta sempre") ha un andamento più mosso (prevalenza di semiminime) e contiene più salti. L’elaborazione polifonica di questo materiale tematico è varia e interessante (il ‘soggetto’ a un certo punto si presenta rovesciato: ascendente invece che discendente), i valori lunghi e le semiminime e crome si intrecciano e alternano piacevolmente fino alla conclusione del brano e di tutto il salmo.

 

(note a cura di PIERO LEONE)